
I cani sono degli esseri capaci di amarci incondizionatamente e di stare sempre al nostro fianco con tutta la loro infinita generosità.
Sono angeli senza ali, eppure alcune persone miserevoli hanno il coraggio di maltrattarli e abbandonarli. Per fortuna molti altri li amano come meritano, dedicandogli persino affettuose poesie.
Ecco quindi le più belle poesie sui cani che ce ne mostrano le caratteristiche più dolci e simpatiche. Scoprile subito!
Poesie sui cani
- Questione di pelle
 (Trilussa)
 – Che cane buffo! E dove l’ hai trovato? –
 Er vecchio me rispose: – è brutto assai,
 ma nun me lascia mai: s’è affezzionato.
 L’unica compagnia che m’è rimasta,
 fra tanti amichi, è ’sto lupetto nero:
 nun è de razza, è vero,
 ma m’è fedele e basta.
 Io nun faccio questioni de colore:
 l’azzioni bone e belle
 vengheno su dar core
 sotto qualunque pelle.
- Epitaffio per un cane
 (George Gordon Byron)
 In questo luogo
 giacciono i resti di una creatura
 che possedette la bellezza
 ma non la vanità,
 la forza ma non l’arroganza,
 il coraggio ma non la ferocia.
 E tutte le virtù dell’uomo
 senza i suoi vizi.
 Quest’elogio, che non sarebbe che vuota lusinga
 sulle ceneri di un uomo,
 è un omaggio affatto doveroso alla memoria di
 “Boatswain” , un cane che naque in Terranova
 nel maggio del 1803
 e morì a Newstead Abbey
 il 18 novembre 1808.
 Quando un fiero figlio dell’uomo
 al seno della terra fa ritorno,
 sconosciuto alla gloria, ma sorretto
 da nobili natali,
 lo scultore si prodiga a mostrare
 il simulacro vuoto del dolore,
 e urne istoriate ci rammentano
 l’uomo che giace lì sepolto;
 e quando ogni cosa si è compiuta
 sul sepolcro noi potremo leggere
 non chi fu quell’uomo,
 ma chi doveva essere.
 Ma il misero cane, l’amico più caro in vita,
 che per primo saluta
 e che difende ultimo,
 che lotta, respira,
 vive e fatica per lui solo,
 cade senza onori;
 e solo col silenzio
 è premiato il suo valore;
 e l’anima che fu sua su questa terra
 gli vien negata in cielo;
 mentre l’uomo, insetto vano,
 spera il perdono, e per sé solo
 pretende un paradiso intero.
 O uomo! flebile inquilino della terra per un’ora,
 abietto in servitù, corrotto dal potere,
 ti fugge con disgusto chi ti conosce bene,
 o vile massa di polvere animata!
 L’amore in te è lussuria, l’amicizia truffa,
 la parola inganno, il sorriso menzogna!
 Vile per natura, nobile sol di nome,
 ogni animale ti mette alla vergogna.
 O tu, che per caso guardi quest’umile sepolcro,
 passa e va’ : non è in onore
 di creatura degna del tuo pianto.
 Esso fu innalzato per segnare
 il luogo ove tutto quel che di un amico resta
 riposa in pace;
 un sol ne conobbi: e qui si giace.
- Carezze al cane
 (Paolo Buzzi)
 Cane, bontà degli uomini perduta,
 o fedeltà di tanti falsi amici,
 il mio cuore ti pensa e ti saluta!
 Questa vita di tedï e malefici
 te la dirò dentr’un’orecchia, o cane,
 che i miei segreti ascolti e non li dici.
 Le pupille tue fonde e più che umane,
 san la mia dolce illusïon caduta.
 E la tua testa è calda come un pane…
- Er gatto, er cane
 (Trilussa)
 Un gatto soriano diceva a un barbone:
 – Nun porto rispetto nemmanco ar padrone,
 perché a l’occasione je graffio la mano;
 Ma tu che lo lecchi te becchi le botte:
 te mena, te sfotte, te mette in catena
 cor muso rinchiuso e un cerchio col bollo
 sull’osso del collo.
 Seconno la moda te taja li ricci
 te spunta la coda… che belli capricci!
 Io guarda… so’ un gatto, so’ un ladro, lo dico:
 ma a me nun s’azzarda de famme ste cose… –
 Er cane rispose:
 – Ma io je so’ amico! –
- A cuscienza
 (Totò)
 Tengo nu cane e caccia
 bello assaje,
 fedele sulo a me
 comm’ a tutt’ ’e cani.
 Ma nu difetto ’o tene mberità
 quann’ i auciello sparo,
 me guarda cunfuso
 e nun ’o và piglià.
 Stu fatto è poco chiaro,
 “Ma sì o nun sì nu cane e caccia?
 ca ’e sorde ca me cuoste
 putisse pure tenè nu poco e cuscienza!”.
 “Nu me fà ridere”
 rispunnette ’o cane,
 ca pe nu momento
 chi sà comme parlaje.
 “Tu me parli e cuscienza,
 ma saje ’o signifecato e sta parola?
 già nun ’o può sapè! Tu l’aje perza
 quanno aje accattato stu ribbotto.”
- Buongiorno, cani, ciao
 (Dino Buzzati)
 Buongiorno, cani, ciao
 cagnolini cagnolini cagnazzi
 misterioso dono della natura
 a noi carogne. Perché?
 Incantevoli compagni di viaggio
 che ci fissate negli occhi
 con esagerata.
 Belli come boschi come il vento
 girano su e giù per la casa
 come fiumi come rupi
 come nuvole innamorate.
 Belli quando ronfate
 fate bave spazzate immondizie.
 Egoisti, sporchi, noiosi
 rompiscatole, puzzolenti, ingordi,
 sudicioni, petulanti, tangheri,
 Dio vi benedica.
- Il povero ane
 (Gianni Rodari)
 Se andrete a Firenze
 vedrete certamente
 quel povero ane
 di cui parla la gente.
 È un cane senza testa,
 povera bestia.
 Davvero non si sa
 ad abbaiare come fa.
 La testa, si dice,
 gliel’hanno mangiata…
 (La “c” per i fiorentini
 è pietanza prelibata).
 Ma lui non si lamenta,
 è un caro cucciolone,
 scodinzola e fa festa
 a tutte le persone.
 Come mangia? Signori,
 non stiamo ad indagare:
 ci sono tante maniere
 di tirare a campare.
 Vivere senza testa
 non è il peggior dei guai:
 tanta gente ce l’ha,
 ma non l’adopera mai!
- Oh nella notte il cane
 (Sandro Penna)
 Oh nella notte il cane
 che abbaia di lontano.
 Di giorno è solo il cane
 che ti lecca la mano.
- Il cane sordo
 (Antonia Pozzi)
 Sordo per il gran vento
 che nel castello vola e grida
 è divenuto il cane.
 Sopra gli spalti – in lago
 protesi – corre,
 senza sussulti:
 né il muschio sulle pietre
 a grande altezza lo insidia,
 né un tegolo rimosso.
 Tanto chiusa e intera
 è in lui la forza
 da che non ha nome
 più per nessuno
 e va per una sua
 segreta linea
 libero.
- Il cane notturno
 (Giovanni Pascoli)
 Nell’alta notte sento tra i queruli
 trilli di grilli, sento tra il murmure
 piovoso del Serchio che in piena
 trascorre nell’ombra serena,
 là nell’oscura valle dov’errano
 sole, da niuno viste, le lucciole,
 sonare da fratte lontane
 velato il latrato d’un cane.
 Chi là, passando tardo per tacite
 strade, fra nere siepi di bussolo,
 con l’eco dei passi, in un’aia
 destava quel cane, che abbaia?
 Parte? ritorna? Lagrima? dubita?
 ha in cuor parole chiuse che batton
 col suono d’alterno oriuolo?
 ha un’ombra, ch’è sola con solo?
 Va! Va! gli dice la voce vigile
 sonando irosa di tra le tenebre.
 Traspare dagli alberi folti
 la casa, che sembra che ascolti…
 come tra il sonno, chiuse le palpebre
 sue grandi… L’uomo dorme, ed un memore
 suo braccio, sul letto di foglie,
 sta presso la florida moglie.
 E dorme nella zana di vetrici
 la bimba, e gli altri piccoli dormono.
 S’inseguono al buio con ali
 di mosche i loro aliti uguali.
 Uguali uguali, passano tornano
 con ronzìo lieve, dentro le tenebre
 cercandosi: e l’anime ancora,
 si cercano, sino all’aurora,
 per le ignorate lunghe viottole
 del sonno; e al fine si ricongiungono;
 e scoppia sul fare del giorno
 l’allegro vocìo del ritorno.
- Ode al cane
 (Pablo Neruda)
 Il cane mi domanda
 e non rispondo.
 Salta, corre pei campi e mi domanda
 senza parlare
 e i suoi occhi
 sono due richieste umide, due fiamme
 liquide che interrogano
 e io non rispondo,
 non rispondo perché
 non so, non posso dir nulla.
 In campo aperto andiamo
 uomo e cane.
 Brillano le foglie come
 se qualcuno
 le avesse baciate
 a una a una,
 sorgono dal suolo
 tutte le arance
 a collocare
 piccoli planetari
 su alberi rotondi
 come la notte, e verdi,
 e noi, uomo e cane, andiamo
 a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
 nella campagna cilena,
 fra le limpide dita di settembre.
 Il cane si ferma,
 insegue le api,
 salta l’acqua trepida,
 ascolta lontanissimi
 latrati,
 orina sopra un sasso,
 e mi porta la punta del suo muso,
 a me, come un regalo.
 È la sua freschezza affettuosa,
 la comunicazione del suo affetto,
 e proprio lì mi chiese
 con i suoi due occhi,
 perché è giorno, perché verrà la notte,
 perché la primavera
 non portò nella sua canestra
 nulla
 per i cani randagi,
 tranne inutili fiori,
 fiori, fiori e fiori.
 E così m’interroga
 il cane
 e io non rispondo.
 Andiamo
 uomo e cane uniti
 dal mattino verde,
 dall’incitante solitudine
 vuota nella quale solo noi
 esistiamo,
 questa unità fra cane con rugiada
 e il poeta del bosco,
 perché non esiste l’uccello nascosto,
 né il fiore segreto,
 ma solo trilli e profumi
 per i due compagni:
 un mondo inumidito
 dalle distillazioni della notte,
 una galleria verde e poi
 un gran prato,
 una raffica di vento aranciato,
 il sussurro delle radici,
 la vita che procede,
 e l’antica amicizia,
 la felicità
 d’essere cane e d’essere uomo
 trasformata
 in un solo animale
 che cammina muovendo
 sei zampe
 e una coda
 con rugiada.
- Dick
 (Totò)
 Tengo ’nu cane ch’è fenomenale,
 se chiama “Dick”, ’o voglio bene assaie.
 Si perdere l’avesse? Nun sia maie!
 Per me sarebbe un lutto nazionale.
 Ll ’aggio crisciuto comm’a ’nu guaglione,
 cu zucchero, biscotte e papparelle;
 ll’aggio tirato su cu ’e mmullechelle
 e ll’aggio dato buona educazione.
 Gnorsì, mo è gruosso. È quase giuvinotto.
 Capisce tutto… Ile manca ’a parola.
 è cane ’e razza, tene bbona scola,
 è lupo alsaziano, è polizziotto.
 Chello ca mo ve conto è molto bello.
 In casa ha stabilito ’a gerarchia.
 Vo’ bene ’a mamma ch’è ’a signora mia,
 e a figliemo isso ’o tratta da fratello.
 ’E me se penza ca lle songo ’o pate:
 si ’o guardo dinto a ll’uocchiemme capisce,
 appizza ’e rrecchie, corre, m’ubbidisce,
 e pe’ fa’ ’e pressa torna senza fiato.
- Qui giacciono i miei cani
 (Gabriele D’Annunzio)
 Qui giacciono i miei cani
 Qui giacciono i miei cani
 gli inutili miei cani,
 stupidi ed impudichi,
 novi sempre et antichi,
 fedeli et infedeli
 all’Ozio lor signore,
 non a me uom da nulla.
 Rosicchiano sotterra
 nel buio senza fine
 rodon gli ossi i lor ossi,
 non cessano di rodere i lor ossi
 vuotati di medulla
 et io potrei farne
 la fistola di Pan
 come di sette canne
 i’ potrei senza cera e senza lino
 farne il flauto di Pan
 se Pan è il tutto e
 se la morte è il tutto.
 Ogni uomo nella culla
 succia e sbava il suo dito,
 ogni uomo seppellito
 è il cane del suo nulla.




















